Il Medioevo è un’epoca che copre quasi mille anni di storia: va infatti all’incirca dalla fine del V sec. d.C. alla fine del XV secolo. Questo lungo periodo è ricchissimo di musica. Tuttavia nella maggior parte dei casi questa musica non aveva la funzione che noi moderni le attribuiamo. Anche la musica medievale, come quella antica, è ancora in buona parte musica “di vita”, da suonare per accompagnare il lavoro, una battaglia, un banchetto, una festa o una celebrazione. Musica insomma che aveva una funzione pratica più che estetica.
Questa musica veniva spesso improvvisata o composta per delle occasioni particolari. Non aveva quindi bisogno di essere scritta e tramandata ai posteri, essendo destinata a essere eseguita una sola volta. Per questa ragione anche della musica medievale ci sono rimasti pochi documenti.
Un’eccezione è però rappresentata dalla musica religiosa: questa, al contrario, era musica che cercava di resistere al tempo, di conservarsi sempre uguale a se stessa, poiché i riti e le cerimonie per cui era stata composta si ripetevano sempre uguali a distanza di tempo. Naturalmente anche la musica religiosa aveva uno scopo pratico: essa doveva arricchire la preghiera e favorire il raccoglimento dei fedeli.
LA MUSICA CRISTIANA E IL CANTO GREGORIANO
Nel 313 d.C., con una legge dell’imperatore Costantino (Editto di Milano), cessarono in tutto l’impero romano le persecuzioni contro i cristiani. I cristiani poterono finalmente uscire dalle catacombe, liberi di professare la loro fede, di costruire chiese dove ri- unirsi e di esprimere il loro sentimento religioso.
La Chiesa di Roma incominciò proprio allora a organizzare definitivamente il proprio culto (cerimonie religiose, riti ecc.), de- dicando una lunga e paziente attenzione anche al campo musicale.
L’abitudine di intonare canti in lode del Signore durante le cerimonie religiose esisteva già ai tempi delle catacombe ed era anche stata favorita da Sant’Agostino (354-430), uno dei padri della nuova Chiesa, che aveva capito quanto la musica potesse aiutare a esprimere emozioni e a preparare gli animi alla preghiera.
Con l’espansione del cristianesimo, il repertorio dei canti sacri si arricchì molto, anche se rimasero differenze notevoli da Paese a Paese. Molto diffuso, ad esempio, era il canto dei Salmi della Bibbia (salmodia) con la partecipazione di tutta l’assemblea dei fedeli (salmodia diretta), usanza, questa, di derivazione ebraica. A Milano, invece, si era andato diffondendo un tipo di canto, introdotto dall’Oriente dal vescovo Ambrogio (333 o 340-397 d.C.), nel quale era prevista la divisione del coro in due parti che si alternavano nell’esecuzione della melodia (salmodia antifonale).
Fu papa Gregorio I (540-604) a scegliere e a riunire i canti sacri in un grande libro, l’Antifonario, e a pretendere che ovunque in Occidente, durante le funzioni religiose, fossero eseguite soltanto le melodie scelte dalla Chiesa di Roma.
Questi canti, chiamati gregoriani dal nome di Gregorio, si diffusero in gran parte dell’Europa e naturalmente in Italia, eccezion fatta per Milano, dove il Papa lasciò che si continuassero a eseguire i canti ambrosiani, cioè quelli voluti da Ambrogio.
La diffusione dei canti gregoriani fu agevolata da un’altra importante riforma, che riguardò la Schola cantorum di Roma, la scuola che preparava coloro che dovevano cantare in chiesa per accompagnare le funzioni liturgiche. I ragazzi dovevano studiare per ben nove anni, imparando a memoria tutte le melodie ascoltate dalla voce del maestro: in questo modo fu assicurata la sopravvivenza di quella straordinaria musica che altrimenti, non potendo ancora essere scritta (come vedremo, la scrittura musicale vera e propria sarà messa a punto alcuni secoli dopo), probabilmente sarebbe andata perduta.
I canti gregoriani sono giunti fino ai nostri giorni grazie a quegli efficienti centri di cultura musicale che erano, e sono tuttora, i monasteri, le abbazie e i conventi (soprattutto benedettini), custodi di preziosi documenti ricopiati a mano dai monaci.
CARATTERI GENERALI
Riassumiamo ora le principali caratteristiche del canto gregoriano:
- è un canto vocale, cioè è affidato alle sole voci, senza accompagnamento degli strumenti;
- può essere eseguito da un solista (canto monodico) o da un coro (nel qual caso è sempre omofono, cioè tutte le voci cantano la stessa melodia), oppure può essere eseguito a dialogo fra un solista e il coro (canto responsoriale) o, infine, dal coro diviso in due parti (canto antifonale);
- è formato da un’unica linea melodica che, formata da suoni vicini, sembra girare sempre intorno ad uno stesso suono;
- ha ritmo libero e andamento lento, perché non esisteva ancora il concetto di ritmo misurato. L’assenza del ritmo è forse l’ele- mento più caratteristico del canto Ciò era dovuto alla convinzione che il ritmo fosse strettamente legato alla vita ter- rena e che perciò dovesse scomparire quando il canto si elevava verso un mondo solo spirituale;
- è privo di variazioni dinamiche: il canto-preghiera è eseguito con un’intensità uniforme;
- ha il testo in latino, la lingua ufficiale della
FORME E GENERI
Il canto gregoriano si è sviluppato in quattro forme.
- Il canto salmodico o accentus. Si tratta della lettura intonata dei Salmi da parte del celebrante. Tale lettura è quasi sempre sil- labica (una sola sillaba per ciascun suono) e condotta su una sola nota (monotonale) o su poche
- Il canto melismatico o concentus. Si tratta del canto di risposta all’accentus, eseguito dai fedeli o dalla Schola In esso la melodia è molto ricca; infatti, spesso una sola sillaba del testo serve per intonare moltissimi suoni. Il canto melismatico era la forma preferita per l’innodia, cioè per il canto degli Inni, che erano basati su testi estranei al repertorio biblico.
- Il tropo, libero adattamento di un nuovo testo letterario, per lo più sillabico, a un canto gregoriano già esistente, ma
- La sequenza. Si tratta del libero adattamento di un nuovo testo sillabico soltanto ai vocalizzi (melismi) degli Sia il tropo che la sequenza trasformavano i canti melismatici in canti sillabici.
Il canto gregoriano è rimasto il canto ufficiale della Chiesa cattolica fino a una trentina d’anni fa. Esso comprendeva brani che venivano cantati in occasioni diverse. C’erano i canti dell’ufficio, che venivano recitati dai religiosi a ore prestabilite, di notte, di mattina presto, al vespro e così via. Durante la messa si eseguivano tanti canti quante erano le parti della messa stessa. Il Kyrie, il Gloria, il Credo, il Sanctus e l’Agnus Dei erano parti fisse e costituivano il canto ordinario. Gli altri canti (Introitus, Graduale, Al- leluja, Offertorim, Communio) erano invece facoltativi e costituivano il canto proprio.
Esaminiamo ora un esempio di canto gregoriano in notazione quadrata:
- il rigo musicale è formato da 4 linee (tetragramma);
- la chiave posta all’inizio di ogni rigo (C) è la chiave di Do e può trovarsi sulla terza o sulla quarta Tutte le note scritte su tale linea, pertanto, si chiameranno sempre Do e le altre si possono facilmente ricavare con lo stesso sistema usato per il penta- gramma normale.
- i testi del canto gregoriano sono composti da versetti di diversa lunghezza non soggetti a regole metriche. Poiché nella notazione antica non esistevano né indicazioni di tempo né stanghette spezzabattute, i segni verticali interposti al testo hanno la sola funzione di delimitare le frasi del versetto ai fini della Le doppie stanghette delimitano i versetti interi.